mercoledì 19 febbraio 2014

DELEGIFICARE LA MATEMATICA CHE VIENE INSEGNATA NELLE SCUOLE

La tentazione delle menti minute è di disporre per ogni concetto, o insieme di concetti, di una definizione; per ogni metodo, di un sistema di precetti o regole da applicare in modo automatico.
La matematica è ben più che un insieme di concetti o di metodi, è una manifestazione del pensiero umano che ha millenni di storia dietro di sé. È legittimo porre la domanda «che cos’è la matematica?»: un celebre libro di Richard Courant e Herbert Robbins l’ha addirittura scelta come titolo. Ma la “risposta” si dipana nel libro per ben 750 pagine ed apre più problemi e altre domande che non chiudere quella di partenza. Si parva licet anche noi abbiamo tentato qualcosa di simile nel libro Pensare in matematica, dipanando una serie di riflessioni che costellano un lungo percorso volto a esplorare che cosa sia la matematica, senza racchiudere nulla in formulette preconfezionate. Eppure, è comune imbattersi in libri che iniziano con una paginetta in cui “definiscono” in poche parole cosa sia la matematica, in ossequio all’isterilimento del pensiero.
C’è chi predica che la matematica coincide con la logica, ed è facile dimostrare che si tratta di un’idea assolutamente sbagliata, perché la matematica – e non soltanto nella geometria – è intrisa di concetti intuitivi e non formalizzabili se non per pura convenienza tecnica.
C’è chi esalta la coincidenza della matematica con l’armonia artistica ed anche questo è quanto meno unilaterale. La matematica non offre affatto un’immagine di armonia e simmetria: cosa di più strano e asimmetrico del fatto che soltanto le equazioni fino al quarto grado siano risolubili per radicali?
Quel che è difficile negare è che nella matematica e nella sua prassi prevalga un atteggiamento “estetico” che potremmo sintetizzare così: conseguire i risultati nel modo più “elegante” che sia possibile, e cioè usando il minimo di concetti necessari, ricorrendo ai metodi più semplici, procedendo mediante le dimostrazioni più dirette, accessibili e costruttive. Per il matematico, ridimostrare un teorema già noto per una via più diretta, meno intricata, meno complessa, più “facile”, è un successo che può aprire la strada ad altri successi e ad altri risultati. Non si tratta soltanto di una questione estetica; o meglio, la questione estetica si salda strettamente con una questione di sostanza e di efficacia. Il requisito della indipendenza degli assiomi di una teoria – ovvero il formulare una teoria assiomatica mediante gli assiomi strettamente necessari, senza accumulare assiomi “inutili” perché conseguenza di altri – è un requisito in cui l’estetica – avere una lista più semplice e compatta – risponde a un criterio di efficacia e comprensione profonda del senso di quel che si sta facendo. Forse l’esempio più famoso è dato dal celebre assioma euclideo delle parallele: per secoli si è tentato di dimostrare che esso poteva essere “dimostrato” e quindi dedotto dagli altri. Non era una fisima meramente estetica, perché se vi si fosse riusciti la conseguenza sarebbe stata che non era possibile un pensiero geometrico diverso da quello euclideo (il mondo dei corpi rigidi). Invece, è risultato il contrario.
Il matematico opera come un chirurgo che, anziché riempire il tavolo operatorio di un ammasso di strumenti il cui uso si sovrappone, o che sono inutili, sceglie lo strumentario strettamente indispensabile allo scopo. Il risultato è in termini di efficacia e, soprattutto, di chiarezza concettuale.
A nessuna disciplina come alla matematica si addice il celebre precetto del teologo medioevale Guglielmo di Occam, detto del rasoio di Occam: «entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem», gli enti non debbono essere moltiplicati al di là del necessario. Pertanto, in matematica è un errore capitale moltiplicare i concetti, introducendone di superflui, moltiplicare le definizioni, introducendone di inutili o macchinose, caricare il corpo della disciplina di una precettistica e di un ammasso di definizioni, regole, indicazioni, prescrizioni oltre a quelle strettamente necessarie e che hanno un preciso significato concettuale.
Queste considerazioni hanno strettamente a che fare con quelle iniziali: le menti minute, sentendosi perse di fronte ai concetti semplici ma profondi di cui occorre esplorare a fondo l’inesauribile significato, preferiscono le definizioni schematiche, le regolette, le prescrizioni chiuse.
È una tendenza che pervade sempre più la didattica della matematica e che la allontana dalla matematica propriamente detta, oltre ad essere la fonte principale del disgusto che allontana tanti bambini e ragazzi dalla matematica, disciplina odiosa, mnemonica, ripetitiva, precettistica, senza senso. La menti minute credono che sia più ostico intrattenere una giovane mente su concetti complicati come il continuo geometrico, l’infinito matematico, l’assioma delle parallele o sul senso profondo del teorema di Pitagora o sulla divisione intera o i rapporti e le frazioni; e credono che la via migliore sia impartire regolette facili facili da applicare meccanicamente, e che tanto più si sminuzza la disciplina in definizioni e regolette tanto più essa risulti facile da dominare. È esattamente il contrario: perché qualsiasi mente si desta e si appassiona di fronte alla sfida intellettuale mentre si deprime e si avvilisce, e in fin dei conti si disgusta, di fronte alla routine piatta.
Il fenomeno cui siamo di fronte è la trasformazione della matematica della scuola dell'obbligo in una sorta di disciplina giuridica – con tutto il rispetto per la giurisprudenza, che deve affrontare una miriade di casi specifici perché tocca l’infinita varietà della realtà umana – codificata in una miriade di leggi e decreti che trasformano l’apprendimento della matematica nello studio di un esame di diritto privato.
Gli esempi di questa inflazione “legislativa” sono sotto gli occhi di chiunque abbia voglia di sfogliare i manuali scolastici o di fare una passeggiata in rete. Invitiamo a farlo, piuttosto che farlo direttamente, non soltanto perché siamo consapevoli che l’evidenza di quanto diciamo salti agli occhi, ma anche perché – alla luce di recenti esperienze – pare che ormai la critica specifica, di merito, dei prodotti intellettuali altrui susciti come reazione, anziché il confronto di idee, delle diffide giudiziarie…
Limitiamoci soltanto ad alcuni esempi, tra i più clamorosi.
Il più famoso è certamente quello – su cui battiamo da tempo – della “legge dissociativa” dell’addizione e della moltiplicazione, di cui altrove (anche in Pensare in matematica) abbiamo spiegato l’insensatezza. A quelle considerazioni potremmo aggiungere che l’idea di inventare una simile legge balzana – che nessun matematico ha mai neppure lontanamente concepito – è consentita da una profonda incomprensione del senso della legge associativa. V’è chi scrive che la legge associativa «permette di sostituire due o più addendi con la loro somma senza che cambi il risultato». Ma non è questo il senso della legge. Difatti, si dimentica che l’addizione e la moltiplicazione sono operazioni binarie e il problema è di spiegare cosa accade quando si vogliono sommare o moltiplicare più numeri. Ebbene, la legge associativa dice che è legittimo procedere sommando i primi due e poi il risultato col terzo, oppure sommando il secondo e il terzo e poi sommando il risultato col primo numero. La “sostituzione” non c’entra proprio niente. La mente minuta che non ha capito quella funzione profonda della legge, non ha trovato di meglio che invertire la “sostituzione”, inventando una legge insensata che serve soltanto a costringere l’alunno a memorizzare un’altra regola.
Un altro esempio di legge sciocca è dato dalla “proprietà invariantiva della divisione”: «il quoziente non cambia se dividendo e divisore sono moltiplicati per una stessa quantità diversa da zero». Non è che questa “legge” sia sbagliata, ma essa è semplicemente una conseguenza del concetto di numero razionale e della sua rappresentazione con frazioni. Una volta che tale concetto – ben più profondo, interessante e utile della suddetta “proprietà” – sia stato studiato e compreso, la conseguenza è ovvia, e come tale va presentata, per evitare la moltiplicazione di enti e concetti superflui.
Nella ossessione definitoria capita pure che qualcuno si chieda se la proprietà commutativa valga non soltanto per la moltiplicazione ma anche per la divisione, sviluppando le seguenti singolari considerazioni: «nel caso della divisione 105 : 5 = 21 e 21 : 3 = 7, si può fare anche 105 : 3 e poi diviso 5, o addirittura moltiplicare 3 e 5 e poi dividere il prodotto per 105». È da immaginare gli occhi del povero bambino posto di fronte a un simile guazzabuglio. Quel che l’“insegnante” non ha chiaro nella sua mente è che le uniche operazioni che servono a introdurre la struttura algebrica dei numeri sono l’addizione e la moltiplicazione. La sottrazione è soltanto l’addizione di un numero per l’opposto di un altro e la divisione la moltiplicazione di un numero per l’inverso di un altro. Questo non c’è bisogno di dirlo, se non a un livello più avanzato, ma se si ha ben chiaro in mente questo concetto fondamentale, nel caso in cui il bambino si ponga la domanda si avrà la possibilità di chiarire la situazione.
Invece, è facile imbattersi in tabelle assurde in cui le quattro operazioni sono elencate in colonna mentre in riga sono elencate le “cinque” proprietà (commutativa, associativa, dissociativa, invariantiva e distributiva) il cui enunciato è definito come “potere delle proprietà”… E il povero bambino deve apprendere che la sottrazione e la divisione non verificano quasi nessuna delle cinque, non si capisce bene perché. Gli si impone di mandare a memoria la tabella. E poi ci si sorprende che la matematica sia considerata come una disciplina repellente in quanto mnemonica e precettistica.
Forse la divisione è proprio la più tormentata fra le povere "quattro operazioni". È considerata brutta e difficile, e allora si aspetta che i bambini abbiano 8 anni per parlarne, e per far mandar giù il boccone ci si attorciglia nella distinzione fra "divisione per contenenza" e "divisione per ripartizione" e si fanno imparare a memoria le "cinque leggi della divisione" (mai che il povero bambino le ricordi tutte e cinque): 1) Dividendo un numero per 1 il risultato è lo stesso numero; 2) Dividendo un numero per sé stesso il risultato è 1; 3) La divisione per zero è impossibile ecc. Evitando la strada sensata di dividere in modo intuitivo con esempi semplici fin dalla scuola dell'infanzia e poi far vedere ai bambini come la divisione intera sia un crocevia della aritmetica con quelle belle uguaglianze 18 = 7 x 2 + 4 che diventano poi ancora più compatte con le lettere: D = d x q + r
Molto ci sarebbe da dire sui tabellari che elencano un numero sterminato di regole che governano le proporzioni, ma forse il caso più sensazionale in cui ci siamo imbattuti è quello dei criteri di divisibilità. Si enuncia che un numero è divisibile per 2 quando termina per 0, 2, 4, 6… (sarebbe più rapido dire per un numero pari, ovvero semplicemente se è un numero pari, ma complicare è sempre bello). Poi si passa al 3 dichiarando che un numero è divisibile per 3 quando la somma delle sue cifre è un multiplo di 3: mandare a memoria, nessun tentativo di dimostrare la cosa. La cosa si fa imbarazzante quando si decreta che un numero è divisibile per 7 quando la differenza tra il numero senza l’ultima cifra e il doppio di quest’ultima è 0 o un multiplo di 7. Qui siamo in piena cabala, che diventa ancor più astrusa quando si dice che un numero è divisibile per 13 quando la somma tra il numero senza l’ultima cifra e il quadruplo di quest’ultima è un multiplo di 13.
Non una spiegazione di questi eventi mistici, nel libro, bensì a fianco una serie di esempi. Per esempio, che 1467 non è divisibile per 13 perché 146 + (7 x 4) = 146 + 28 = 174 e 17 + (4 x 4)= 14 + 16 = 33 che non è un multiplo di 13. Già, ma piacerebbe sapere perché… Invece di imbottire le teste di quei piccoli poveracci di quelle regole che espelleranno dalla mente un minuto dopo, non sarebbe più sensato fare degli esercizi (magari in classe) guidando passo passo a una dimostrazione della regola in modo che se ne capisca il senso? Ché ove tale dimostrazione fosse troppo difficile sarebbe bene accantonarla con decisione.
Alcune di queste regole sono eredità della matematica delle scuole d'abaco medievale, ed è bene discernere le tante cose della tradizione che conviene conservare con altre, quelle tipiche di un epoca dove l'istruzione era un addestramento tecnico che creava soprattutto automatismi e dove il calcolo era interamente mentale e manuale, che devono essere accantonate, tenendo presente lo scopo della scuola dell'obbligo moderna e che abbiamo a disposizione strumenti potenti come le calcolatrici.
La divisione è un concetto profondo proprio perché nella sua astrazione unifica una miriade di situazioni concrete. Allo stesso modo le frazioni contengono in sé molte idee: sono numeri (e includono i naturali), possono essere espressi anche in modo posizionale (decimali, sessagesimali) ma non sempre, contengono l'idea di rapporto e proporzione (in tal senso usiamo nella vita corrente le percentuali). Richiede immaginazione e un lavoro sistematico su esempi e problemi scandagliare questo concetto astratto che è una sintesi, ma i ragazzi e ragazze ne sono capaci. Invece si manda a memoria la distinzione scolastica fra frazioni proprie (minori di 1), improprie (maggiori di 1) e apparenti (i numeri naturali): e molti insegnanti testimoniano che questa è l'unica cosa che ricordano gli studenti quando iniziano le superiori, mentre hanno difficoltà a usare le frazioni in un problema o a eseguire una addizione di frazioni!
Sono soltanto alcuni esempi. Come si è detto è facile constatare che questa mania di enunciare leggi, regole e proprietà dilaga.
Di fronte a questo dilagare insensato, che è una delle fonti principali di un legittimo disgusto per la matematica proponiamo con forza la parola d’ordine:

Delegificare la matematica che viene insegnata nelle scuole

4 commenti:

  1. Concordo su tutto e aggiungerei anche che "le formule inverse non esistono, sono state inventate dagli autori di pessimi libri".

    RispondiElimina
  2. Gent.mo Professore,
    il mio bambino, dopo il pensionamento della maestra titolare, sta avendo un'educazione matematica davvero scadente. Potrebbe consigliarci un libro estivo di esercizi che lo traghetti verso le medie? Grazie.

    RispondiElimina
  3. ....aggiungerei a tutto questo, il delirio di far risolvere i problemi cercando delle parole chiave nel testo! Se c'e scritto "complessivamente" si usa l'addizione e tante altre scorciatoie simili per allontanare i bambini dal pensare!

    RispondiElimina