domenica 1 dicembre 2013

ADHD e DSA: come trasformare educazione e istruzione in malattie


L’ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder o sindrome del bambino agitato) fa parte oggi della vita quotidiana delle scuole. È una delle “etichette” dei bambini “certificati”, bambini che sicuramente hanno delle difficoltà (di concentrazione, di attenzione e ascolto, di condotta) nel partecipare alla vita scolastica, ma che a causa della tendenza alla medicalizzazione si portano addosso etichette che, come sanno tanti insegnanti, sono parte del problema di questi bambini più che della soluzione delle loro difficoltà. Vi sono a livello internazionale molte persone che si oppongono alla sindrome ADHD e all’enorme giro di affari che si è innestato attorno a questa “malattia”, con l’introduzione di un sedativo, il Ritalin: l’idea di fondo è che nella loro crescita i bambini si confrontano spesso con difficoltà, nell’apprendere, nell’avere rapporti con i pari e con gli adulti, nella conquista di un’autonomia e libertà che è anche autocontrollo e responsabilità, ma che queste difficoltà sono proprio la materia dell’educazione, sono responsabilità di genitori, maestri, istruttori di sport e tempo libero, ognuno con gli strumenti che una lunga tradizione ha messo a disposizione. Proprio quando le scienze dell’educazione hanno raggiunto tanti traguardi e la conoscenza del mondo infantile è tanto progredita dobbiamo arrenderci?
Una conferma in tal senso viene da un protagonista, il celebre studioso statunitense, Leon Eisenberg (1922-2009), che nel 2007 pubblicò un articolo sull’evoluzione che ha portato alla “nascita” dell’ADHD, nel quale – sotto una retorica autocelebrativa – è evidente una notevole preoccupazione per la situazione attuale. Nel febbraio del 2012, in un articolo pubblicato sul settimanale tedesco «Der Spiegel», il giornalista scientifico Jörg von Blech, autore del saggio “Inventing disease and pushing pills: Pharmaceutical companies and the medicalisation of normal life“ (pubblicato nel 2003 in tedesco, ora disponibile in inglese da Routledge, 2006)  ha scritto che nel 2009, sette mesi prima della morte, in una intervista nella sua casa, Eisenberg affermò che l’ADHD è  una “fabrizierte Erkrankung”, e che la predisposizione genetica all’AHDH è completamente sopravvalutata. Von Blech riporta che Eisenberg affermò che lo psichiatra infantile deve indagare più a fondo le ragioni psicosociali che possono portare a ciò che si osserva nel comportamento di un bambino, e fra tutte riferendosi ai problemi in famiglia (i rapporti fra i genitori o le incomprensioni fra bambino e genitori); e osservò anche che questa indagine richiede però molto tempo (e, potremmo aggiungere noi, buonsenso, competenza e intelligenza da parte di medici ed educatori) mentre prescrivere una pillola è molto veloce! Queste informazioni circolano in rete, a volte in ondate e a volte in traduzioni di traduzioni, come un movimento di resistenza sotterraneo, ma vi sono state anche dichiarazioni istituzionali, come quella della Commissione nazionale di etica per la medicina (NEK-CNE) svizzera che in un parere del 2011 ha sottolineato che (citiamo) l’«enhancement farmacologico può causare una limitazione della libertà, dei diritti della personalità e dello sviluppo della personalità. I genitori, le strutture scolastiche e gli altri tutori hanno a questo proposito una responsabilità particolare, sia nei confronti del singolo bambino sia nei confronti dei valori e dei criteri futuri della nostra società. La Commissione chiede di verificare la prassi attuale in materia di prescrizione di psicofarmaci ai bambini, nonché di chiarire le cause dell’incremento del consumo e di proteggere i bambini da un consumo eccessivo».
Forse possiamo sperare che si cominci a diffondere un’ondata di buon senso attorno a questo ennesimo caso di medicalizzazione estrema di ogni aspetto dell’esistenza. Ma la tendenza attuale è di eliminare qualsiasi fattore sociale, culturale, psicologico, affettivo, emotivo, riducendo tutto a fattori materiali, fisici. Quindi anche l’educazione e l’istruzione diventano un fatto medico, di competenza di psichiatri e psicologi – beninteso di scuola rigorosamente materialista.
Una situazione analoga riguarda i DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento).
Come nel caso dell’ADHD, la letteratura sulle basi biologiche di questo insieme di disturbi fa girare la testa: si avanza di tutto e il contrario di tutto - basi genetiche, differenze neurologiche, identificate in tal modo o tal altro. Nessuno sa niente di preciso, ma troppi si gonfiano la bocca con paroloni senza sapere di cosa stiano parlando.
Di certo, quel che è chiaro è che trattasi di una buona materia per far affari, certo non sostanziosi come la vendita del Ritalin e le visite connesse, ma comunque di affari interessanti: diagnosi, terapie, supporti informatici, libri, materiali vari.
Il fatto gravissimo è che la materia – difficoltà matematiche, difficoltà di scrittura, ecc. – viene sottratta agli insegnanti per essere delegata a specialisti che spesso non hanno alcuna competenza in materia. Nel caso che a noi interessa in particolare – la discalculia – la cosa è particolarmente grave, perché chi si occupa di problemi di apprendimento della matematica dovrebbe avere una solida conoscenza di quest’ultima, dovrebbe sapere di cosa si sta parlando.
Invece, se ne sentono di tutte: per esempio che la matematica è una scienza “procedurale” e che le tavole pitagoriche sono un insieme ordinato di parole da memorizzare come tale. Molti dei disturbi di discalculia sono semplicemente inesistenti, come quelli derivanti da problemi di incolonnamento che sono banalmente riconducibili al fatto che alle primarie non s’insegna più a incolonnare (cosa che prima derivava dal tracciamento di aste e tondi). Molti altri esempi si potrebbero fare, e li faremo in seguito.
Ma c’è qualcosa di più grave. Che dire se uno “specialista” (uno psicologo, nella fattispecie) ti interpella con supponenza, parlando dei suoi successi nell’aver “curato” difficoltà di apprendimento «della matematica E dell’algebra”? Costui crede che l’algebra sia una cosa distinta dalla matematica. E lo dice senza vergogna. Cosa capiterebbe se andassimo a parlare a un chimico di “chimica e chimica organica”, o a un fisico di “fisica e di fisica delle particelle”, come cose distinte? Un buon cappello d’asino sarebbe appropriato. Invece qui, chi parla così ha in mano il bastone di comando e tiene in pugno la sorte dei bambini.
C’è ancora di peggio. Ad esempio, ci informano di un un “Corso Intensivo di Tecniche di apprendimento facilitanti per il superamento della discalculia” che si occupa anche dei Bes (Bisogni Educativi Speciali) promosso da un certo Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare (Inpef). È un corso destinato a docenti di matematica delle scuole di ogni ordine e grado, educatori, tirocinanti, studenti universitari, logopedisti, insegnanti di sostegno, psicologi, e chi più ne ha più ne metta. Al costo di 230 euro + Iva rilascia un certificato di competenze. Direte che tanto non conta nulla. Eh, no, perché questo ente è accreditato presso l’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio e il Corso è autorizzato dal medesimo USR con D.D. n. 220.
Sarebbe interessante soffermarsi sul programma del Corso, che è scritto in un linguaggio ridicolo (l’anticamera del calcolo aritmetico sarebbero l’insieme unione, l’insieme differenza e la ripartizione (?). Ma anche qui il peggio è sufficiente a tagliar corto sul resto.  Nel capitolo dedicato all’aritmetica “speciale” (?) si parla degli insiemi: «Gli insiemi: l’insieme vuoto, pieno…».
Davvero? Veniamo a sapere una novità sconvolgente: è nato il concetto di insieme pieno!… Poco dopo, alla voce geometria, si parla di “poligono e non poligono”… E cosa mai sarebbe il “non-poligono”?
L’autore deve essere uno che ha letto troppo Heidegger.
Scherzi a parte, qui c’è davvero poco da scherzare.
Con l’autorizzazione di una USR si incamerano quattrini per formare persone che andranno a “curare” dei poveri bambini diagnosticati di DSA, opportunamente formate sui concetti di “insieme pieno” e di “non poligono”. Si accredita un ente che, nel proporre questo “corso” dichiara che «la matematica è un GIOCO [sic] e può essere appresa da chiunque».

Salvare la scuola italiana significa anche – non soltanto, ma anche – cacciare fuori dal tempio la congrega di ciarlatani affaristi che si sta precipitando sul tema delle malattie da apprendimento come mosche sul miele.

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