lunedì 4 marzo 2013

Parla una maestra che fa matematica in una scuola dell'infanzia


Parla una maestra che fa matematica in una classe della scuola dell'infanzia con bambini di 3, 4 e 5 anni insieme

«Alcuni bambini di tre anni sono persino più "svegli" di alcuni più  grandi. Quindi si sta rivelando positiva la scelta di coinvolgerli tutti senza  grandi distinzioni per età.
Sicuramente le loro conoscenze pregresse sui numeri  si stanno rivelando utili ai fini del loro apprendimento.
Fino ad ora le  soddisfazioni più grandi le sto ottenendo non tanto dalle attività svolte in classe, quanto dai racconti che alcuni bambini mi fanno dei loro "incontri "  con i numeri, a casa o nei giochi, perché questo mi fa capire come, gli stimoli che sto offrendo loro, non solo vengono recepiti, ma assimilati e rielaborati».

2 commenti:

  1. Non credo che l'età sia più importante nell'apprendimento di quanto lo sia l'ambiente e la scelta di un metodo personale di studio. Ho studiato fino alla prima media, con risultati peggiori che PESSIMO, dove era più importante mandare a memoria pagine dell'Odissea o poesie, come macachi da esperimento, che spiegare i fatti descritti nelle pagine memorizzate.

    Pochi anni addietro, abitando in una grande città, ho ospitato la figlia di una mia cognata, in quel periodo frequentava quello che in Italia si chiama Asilo Infantile.

    Sia per l'interessamento dell'insegnante e del mio impegno, la bambina in poco tempo ha appreso le prime basi della matematica ed a comprendere brevi testi scritti, ha appreso a conoscere l'orologio analogico (conoscenza molto rara nella regione dove abito). Poi ha iniziato a frequentare quella che in Italia sarebbe la Prima Elementare

    Ma per motivi prettamente economici siamo stati costretti a rientrare nella piccola cittadina dell'interno, dove l'ambiente, le amicizie scolasti, la famiglia in poco tempo hanno distrutto tutto quello che aveva appreso e peggio ancora hanno distrutto la capacità di apprendimento.

    I miei tentativi di contrastare questo disfacimento si sono scontrati contro una caparbia volontà dell'ignoranza, dimostrando, come detto all'inizio, che non è l'età che importa, ma l'ambiente, o per come dice la maestra di cui sopra gli stimoli, se questi non vengono recepito come inutili.

    Inutile dire che alla fine mi sono arreso, ed ora, all'età di 13 anni la bambina riconosce con difficoltà perfino l'orologio analogico, disconosce le operazioni fondamentali come la sottrazione e l'addizione e sulla lingua stendo un velo pietoso

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  2. E' vero è vero.
    Mandiamo i bambini di quattro cinque anni a scuola di nuoto, di danza, di karate (per carità: tutte cose commendevoli, sacrosante, da continuare) per uno sviluppo armonioso del loro corpo; ci preoccupiamo altrettanto delle richieste - della fame! - della loro mente?
    Senza raggiungere la disumanità cattiva e ottusa di certi genitori - che, pianificando il successo del pargolo ancora in fasce, gli massacrano l'infanzia - quante cose si potrebbero fare. La prima? La scuola - seria e impegnativa a misura di fanciullo - già a cinque anni.

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